Il fondamentalismo cristiano, ebraico e islamico tra geopolitica e rivendicazioni nazionali

Al di là di tutti i pregiudizi che ci si può formare, anche e soprattutto, stando alla notizie che i nostri mezzi di informazione, spesso piuttosto coinvolti con le politiche governative, possano trasmettere, bisogna sapere che il termine fondamentalismo nasce storicamente in ambito protestante negli Stati Uniti intorno alla metà dell’800 ad opera di alcuni pastori evangelici che intendevano riaffermare i pilastri fondamentali del cristianesimo, poiché essi ritenevano che si fossero progressivamente allenatati.

Tuttavia, per comprendere come si sia arrivati all’affermazione del fondamentalismo in maniera piuttosto diffusa in quasi tutte le religioni del globo, occorre andare ben oltre le categorie religiose. Il sociologo Enzo Pace, ad esempio, ha evidenziato[1] come il fondamentalismo si presenti sulla scena politica moderna o, se vogliamo, postmoderna perché i partiti hanno smesso di funzionare come fattori di aggregazione sociale e come costruttori di identità collettive. Si tratta di un vuoto che viene occupato da movimenti che partono dal basso e che per motivazioni specifiche, spesso legate alla geopolitica contingente, puntano alla riconquista della sfera politica. È facile con queste premesse concludere, dunque, che il fondamentalismo non è altro che un prodotto della modernità, dell’individualismo, del pluralismo e che si afferma nella postmodernità con tutto il suo bisogno di ri-aggregazione identitaria.  

Occorre, tuttavia, sapersi districare con destrezza tra le varie forme e i differenti movimenti religiosi, infatti molto spesso si cade in confusione tra il conservatorismo e il fondamentalismo vero e proprio.

Massimo Introvigne[2], ad esempio, ritiene che storicamente la confusione ingenerata dal termine fondamentalismo sia stata ampliata dalla pubblicazione tra il 1991 e il 1995 del Foudamentalism Project di Marty e Appleby, ritenuta un’opera realizzata da americani convinti che il fondamentalismo fosse una reazione all’emarginazione della religione dalla politica e dalla società e, poiché essi erano convinti che il fenomeno religioso fosse in declino, scalpitavano per un reinvestimento nel sacro.

Per comprendere la variabilità all’interno della quale è possibile collocare i diversi movimenti e i vari gruppi con caratteristiche differenti, che spaziano tra il conservatorismo e il fondamentalismo, Introvigne propone un criterio che, ai fini pratici, si rivela molto utile, sebbene comporti la conoscenza poi, di volta in volta, delle vicende geopolitiche specifiche di ciascuna zona in cui i movimenti si affermano. La proposta è quella di differenziare le nicchie religiose (vale a dire i vari movimenti) in base ai costi/benefici per sostenerle (umani ed economici), al livello di tensione sociale in grado di accollarsi e al rapporto conflittuale che intendono avviare tra religione e politica.

Introvigne attribuisce così alle nicchie ultra-liberal e liberal, vale a dire quelle più legate ad ambienti di sinistra, un atteggiamento di netta o modesta separazione tra religione e politica/cultura, tipico, ad esempio, del laicismo o della laicitè francese. Questo tipo di laicismo ammette la separazione tra una sfera religiosa o privata e una sfera pubblica, in cui i valori religiosi debbano stare fuori, abbassando così, di fatto, il conflitto culturale con la società pluralista e secolare.

All’estremo opposto, invece, nelle nicchie strict (fondamentalismo) e ultra-strict (radicalismo) si ritiene che i valori religiosi, il modello etico e sociale derivato dalla religione debbano essere portati e sostenuti all’interno della società, affinché si realizzi una comunità di santi con principi religiosi. È in questo investimento della religione nel progetto politico e comunitario che alberga il germe del fondamentalismo, che si muove cercando consensi, sostenendo la popolazione non solo dal punto di vista ideologico, ma concretamente, ad esempio cercando di sopperire ad uno stato sociale sempre più in ritirata laddove il liberismo ritiene inefficace e inefficiente la sanità, i trasporti e l’istruzione pubblica.

Al centro, infine, vi sarebbero i sostenitori della laicità tradizionale, così come la intendiamo noi in Italia, ad esempio, cioè come una forma di collaborazione tra religione e politica/cultura senza fratture, sebbene i due piani possano o debbano rimanere più o meno distinti.

Negli Stati Uniti è molto diffuso il fondamentalismo strict tra le varie scissioni del pentecostalismo e tra i mormoni, anche se talvolta si verificano sistematicamente degli spostamenti dalle nicchie strict verso nicchie ultra-strict, perché c’è sempre chi fonda ulteriori movimenti per cercare di essere sempre più aggressivi nell’atteggiamento verso la società civile.

In ambito ebraico è facile scadere in confusione tra fondamentalismi e conservatorismi, infatti movimenti antisionisti come l’Agudat Israel si oppongono dal 1912 alla fondazione di uno Stato in Israele. E si noti bene, l’Agudat Israel è un gruppo di ultra-ortodossi, profondamente religiosi e il fatto che siano antisionisti ha il preciso e unico significato riconducibile al fatto che “sionisti” sono quegli ebrei con un progetto politico ben definito, cioè la costruzione dello Stato di Israele in Palestina. Paradossalmente, nel loro avversare la causa sionista, lasciando che sia Dio a creare il nuovo Israele, non l’uomo, è capitato che i gruppi ultraortodossi, tra cui Neturei Karta International – Ebrei uniti contro il sionismo, abbracciassero anche la causa palestinese (leggi qui il comunicato del movimento sull’appoggio alla sovranità palestinese).

Analogamente, nel mondo islamico, strutturalmente incapace di pensare la separazione laica occidentale tra potere spirituale e potere temporale, finché storicamente non vi è stato alcun problema di identificazione tra soggettività religiosa e soggettività politica, come nell’Impero Ottomano, non si è manifestata alcuna necessità di pensare al fondamentalismo, ma nel momento in cui l’Occidente si è insinuato in Oriente, sia con la sua idea di laicità sia con l’appropriazione indebita di terre, si è presentata la necessità di rivendicare quello spazio politico profondamente religioso, accedendo così a quel registro linguistico e concettuale del fondamentalismo che proprio in Occidente era stato inventato.

È anche a partire da questa complessa rete di rapporti tra religione, geopolitica, economia e rivendicazione di terre che bisogna leggere l’attuale conflitto israelo-palestinese.  

ML (22/10/2023)


[1] E. Pace, P. Stefani, Il fondamentalismo religioso contemporaneo, Queriniana, Brescia 2000; E. Pace, R. Guolo, I fondamentalismi, Laterza, Roma-Bari 1998.

[2] M. Introvigne, Fondamentalismi. I diversi volti dell’intransigenza religiosa, Piemme, Torino 2004.

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