La Scuola non deve servire! Sulla mancata comprensione del post-strutturalismo

Prima venne Luigi Berlinguer (PD, “centro-sinistra”) con l’autonomia scolastica e i quiz INVALSI. Poi venne Matteo Renzi (ex PD, “centro-sinistra”) con la “buona scuola” dei privati che la finanziano e dell’alternanza scuola-lavoro per Confindustria. Poi vennero Draghi-Bianchi (ex Banca d’Italia, ex BCE, poi “salvezza nazionale”) con la scuola dell’educazione civica, perché la società italiana era in crisi e bisognava privatizzare meglio. Poi venne Guido Crosetto (Fratelli d’Italia, “destra-destra”) con la “cultura della difesa” nelle scuole, perché ci sono le guerre. Poi venne Giuseppe Valditara (Lega, “destra-destra”) con l’educazione sentimentale nelle scuole, perché ci sono i femminicidi.

Lo schema ricorrente è sempre lo stesso, quasi una coazione a ripetere: la scuola è buona-a-tutti-gli-usi e serve a mettere inutili pezze ai disastri che di volta in volta esplodono nella società civile e che sono il frutto di certe politiche e di determinati sistemi economici. La scuola, in ultima istanza, serve a mettere a tacere ogni critica, soprattutto quelle di ordine politico ed economico.

Fino a quando la Scuola si presterà a questo gioco distruttivo?

Perché, a ben vedere, la scuola non serve a risolvere questo o quel problema. La scuola non serve a niente! Nel senso che non risolve i problemi contingenti e non è al servizio di nessuno.

La scuola serve a offrire una giovinezza costruttiva alle generazioni a venire. Serve a forgiare menti capaci di affrontare positivamente i problemi di domani, non quelli di oggi. Serve a tramandare la consapevolezza di come nel passato si sia affrontata tutta una serie di problemi teorici e pratici. E, alla fine, serve a costruire un Paese civile e laborioso.

Evidentemente, chi gestisce il potere da diversi decenni ed ha in mano le leve della politica e dell’economia, questo non lo sa, non l’ha capito o (ed è peggio) finge di non saperlo.

Cercando di definire che cosa sia e a che cosa serva la scuola, non ho usato, volutamente, quei riferimenti ai Grandi Valori (identità, società, diritti/doveri, nazione, cultura, ecc.) evocati con insopportabile retorica da amministratori e politici quando si avventurano a parlare di scuola, e non solo. Oggi questi valori non possono essere usati in modo assoluto, perché diventano subito strumentali, ideologici, retorici. Sono una trappola ideologica e discorsiva nella quale cade anche chi, criticando a ragione questo stato di cose, prefigura soluzioni calate dall’alto – e sia pure dall’alto della Ragione – trascurando la possibilità di elaborazioni dal basso – cioè ad opera di popolazioni, di culture, di vite, vere portatrici di sovranità democratica. Sono queste spinte dal basso che alla lunga appaiono storicamente (seppur sempre temporaneamente) vincenti. L’epoca che stiamo vivendo è, invece, caratterizzata proprio dall’estremo, cruento tentativo di imporre un certo ordine, certi valori, certi interessi dall’alto – ormai a costo di qualunque disastro, di qualunque insuccesso.

Occorre partire, ad esempio, dalla critica, o meglio dalla denigrazione, invalsa a destra (ma non solo) degli anni ‘60 e ‘70 del secolo scorso, indicati come l’inizio del “degrado” che stiamo vivendo. La tesi, quanto mai assurda e tendenziosa, è la narrazione preferita delle destre, le quali in questo modo hanno costruito la loro riscossa, ma è da confutare in toto, se si vuole combattere seriamente il neoliberismo.

Gli anni ‘60 e ‘70 del secolo scorso hanno visto l’elaborazione filosofica e politica di modelli fortemente innovativi e critici rispetto alla gestione del potere, elaborazione filosofica e politica che avrebbe dovuto essere baluardo di resistenza all’aggressività della globalizzazione neoliberista (per esempio sulla scorta di riflessioni collettive come furono quelle del lontano 2001 a latere e contro il G8 di Genova[1]).

In quegli anni ‘60 e ‘70, infatti, constatando il crollo del colonialismo e la nascita degli Stati post-coloniali, si era elaborata una critica all’eurocentrismo nata in ambito post-strutturalista francese (l’anti-essenzialismo, la riconduzione del naturale al culturale, il discorso sull’alterità: Michel Foucault e Jacques Derrida) e sviluppata dalla critica post-coloniale (i lavori seminali di Frantz Fanon[2]; il grande lavoro critico del palestinese-americano Edward Said[3]). L’ottica – eminentemente democratica – era quella di dare spazio politico, permettere una agency, ai popoli e alle culture.

Andrea Zhok, che ha la capacità di delineare nei suoi scritti i termini di questi problemi complessi, perde di vista il suo stesso obiettivo di rigorosa critica alle modalità totalitarie del neoliberismo quando si unisce al coro dei detrattori degli impulsi “rivoluzionari” prodotti nella seconda metà del Novecento, sostenendo, per esempio, che «nell’ambito dell’accademia quelle posizioni [post-moderniste] si trasformarono molto rapidamente in un generico irrazionalismo, che si immaginava ‘rivoluzionario’, perché ‘abbatteva limiti’, mentre era solo la mosca cocchiera delle più deteriori espressioni della liquefazione capitalistica»[4].

Ci sembra invece che, specialmente in Italia, l’accademia (per sua natura tradizionalista, salve eccezioni) non abbia elaborato quel lavoro culturale svolto dal post-strutturalismo e dal post-colonialismo, rendendo cronicamente arretrato e “ignorante” il dibattito pubblico italiano. E che quindi l’accademia in Italia non abbia svolto la sua funzione di alimentare il dibattito su tematiche che avrebbero potuto portare ad altre proposte politiche. Ne è una prova l’indisturbato e intellettualmente ondivago percorso che ha portato al potere forze politiche che, di fronte a un fenomeno di costruzione identitaria interna fra Italia del Nord e Italia del Sud, hanno predicato prima la “secessione”, poi il “federalismo”, per arrivare alla richiesta di “pieni poteri” e all’“autonomia differenziata”, senza riuscire a incidere in alcun modo sulla cosiddetta Questione meridionale[5].

È quindi necessario procedere con la decostruzione di tutti i dispositivi che il sistema dominante ha molto abilmente imparato a usare, sfruttando a suo vantaggio il sistema nervoso informativo.

LP (16/12/2023)


[1] cfr. Globalizzazione e nuovi conflitti, Derive /Approdi, Roma 2002.

[2] Cfr. F. Fanon, I dannati della terra, Einaudi, Torino 2007.

[3] Cfr. E. Said, Orientalismo, Feltrinelli, Milano 2013, Id., Cultura e imperialismo, Feltrinelli, Milano 2023.

[4] Zhok e la “Profana Inquisizione”: “Il patriarcato è superato, la guerra tra i sessi è in atto” – Quotidianoweb.it

[5] Sulla costruzione dell’alterità italiana mi permetto di rinviare al mio L. Perrona, L’altro sé. Opposizioni letterarie dal Sud, Algra Editore, 2017.

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