In maniera sempre più aggressiva e propagandistica ci troviamo oggi a (s)ragionare, ancora una volta, in termini eurocentrici di valori europei, di cultura europea, proprio quando l’Europa è stata messa definitivamente fuori gioco dal conflitto armato in Ucraina. Tutto ciò è il segno di quanto sia andato avanti un dibattito pubblico distorto per mancanza di elaborazione culturale.
Si fa finta che le guerre in corso vedano contrapposti i “Valori dell’Occidente” contro quelli di un ingiustificabile “Resto del Mondo”. Si fa finta che i Valori dell’Occidente siano la nostra cultura europea, per cui siamo sollecitati quotidianamente a sostenere le guerre “giuste” e “occidentali” – col rischio che in un futuro che non vogliamo nemmeno immaginare altri popoli europei, nuovi indigeni dominati da un potere esterno, siano costretti a farsi carne da cannone come il popolo ucraino.
È chiaro che siamo immersi in una fittizia costruzione di propaganda. E l’Accademia italiana non dà un sussulto, ma nelle persone di 13 rettori di Università italiane, siede nel comitato scientifico di Med-Or cioè della Fondazione della maggiore industria bellica italiana (Leonardo SpA) tanto ricca e influente da finanziare sempre di più la ricerca universitaria (si veda la petizione lanciata dall’Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole e delle università).
Chiediamoci allora dove stiano i conflitti veri. Sono quelli che si materializzano nelle guerre di dominio che siamo chiamati a sostenere perché “abbiamo ragione noi”, perché “a noi così conviene”? O i conflitti veri sono quelli che si mangiano il potere d’acquisto dei nostri salari, tolgono il welfare, ingabbiano la sanità, opprimono sempre più categorie di persone, umiliano la scuola?
Sui conflitti veri dobbiamo unire tutte le forze. Siamo d’accordo che la lotta debba essere contro quel neoliberismo che, da una parte, vuole abolire il conflitto, abolendo la diversità degli enti in conflitto e, dall’altra, ricorre costituzionalmente alle guerre per alimentare se stesso (infrangendo, tra l’altro, un nostro principio costituzionale).
Occorre però fare chiarezza e fare molta attenzione a non portare acqua al discorso dominante che – in nome di presunte razionalità e buon senso, ma di fatto costruendo la società del controllo – vuole continuare ad assicurarsi il consenso per trasformare il mondo in un mondo disumano.
Ecco, allora, che prendersela con questo o quel movimento conflittuale, questo o quel percorso di indagine culturale e di elaborazione politica (sulla base per lo più di ciò che i social liofilizzano e diffondono), siano essi il femminismo, i Gender Studies, la Cancel Culture, la Woke Culture, è un po’ come sparare sulla croce-rossa, mentre i carri armati avanzano. Restando salve analisi, valutazioni, giudizi diversi, come quelli proposti da un analista acuto come il professor Zhok[1] e da una parte di opinione pubblica non di destra, facciamo attenzione che quelle analisi non si scaglino contro obiettivi sbagliati. Sarebbe un grave errore politico. Questi obiettivi polemici e allarmistici stanno lì perché le destre li hanno costruiti come tali per evitare la destabilizzazione potenzialmente “rivoluzionaria” di cui quelle indagini culturali e quei movimenti di elaborazione politica sono portatori.
La scuola è diventata uno dei fronti di questa lotta furibonda, di questa guerra ibrida combattuta non contro un nemico esterno, ma contro i cittadini e le cittadine, detentori tutti insieme della sovranità democratica: «Tu sei il territorio conteso, ovunque tu sia, chiunque tu sia»[2].
Rifiutando la guerra ibrida che strumentalizza la scuola, rifiutiamo una cultura e una politica fallimentari.
LP (17/12/2023)
[1] Zhok e la “Profana Inquisizione”: “Il patriarcato è superato, la guerra tra i sessi è in atto” – Quotidianoweb.it
[2] NATO’s Sixth Domain of Operations, NATO Innovation Hub, settembre 2020.
