Il testo dei coniugi Peter e Brigitte Berger (entrambi sociologi) risale al 1983 e viene concepito nel pieno della storia degli effetti delle teorie post-strutturaliste e postmoderne sulla morte della famiglia, dopo che la morte di Dio e la morte della religione avevano già abbondantemente occupato la scena culturale, filosofica e teologica. A fronte di posizioni progressiste, liberal per gli americani, i Berger sono consapevoli del ruolo e della funzione delle scienze sociali, della loro avalutatività, ma al tempo stesso è come se implicitamente prendessero le distanze da una tale impostazione epistemologica, facendo emergere i loro giudizi di valore in modo abbastanza chiaro. Il loro approccio sociologico, fenomenologico ed ermeneutico insieme, non può prescindere, infatti, dal significato, dal senso e dei valori che i soggetti attribuiscono alla realtà sociale nella quale sono immersi. In tal caso la loro posizione sia dal punto di vista storico sia politico e progettuale è dichiaratamente in favore della legittimità della famiglia borghese e lo è perché essi ritengono che i valori e l’etica che la sorregge, intesa come comunità emotivamente connotata, sia centrale per la costruzione dell’identità dei soggetti e poi della costruzione di una società organica, quasi all’interno di una prospettiva organicistica. Non c’è dubbio che tra gli anni ’70 e ’80 “la famiglia borghese” fosse diventata un problema, attanagliata da diverse voci che, per vari motivi, attentavano alle radici istituzionali e ideologiche della stessa istituzioni familiare. Tuttavia, gli autori, con coraggio e determinazione, intendono recuperare con argomentazioni equidistanti dal conservatorismo e dal progressismo, in favore della famiglia quale struttura di mediazione e contro l’aggressione da parte di schiere di professionisti in nome di un centralistico e invadente Welfare State.
ML (17/03/2021) per Agorasofia
