La tesi dell’autore, in linea con la maggior parte degli studiosi contemporanei, è che la teoria della secolarizzazione, con le dovute precauzioni metodologiche, può funzionare solo per il Cristianesimo, ma non per le altre religioni. Da storico del cristianesimo e credente, Rizzi ribadisce che la secolarizzazione non è altro che quel fenomeno di separazione che si è dato storicamente, con differenze specifiche, tra istituzioni politiche e istituzioni religiose in diverse parti dell’Europa. L’apporto di Rizzi, tuttavia, sta nella lettura della secolarizzazione come un percorso in cui si è raggiunto un preciso equilibrio, in seno al Cristianesimo, tra principio di autorità da un lato e istanze critiche ed ermeneutiche dall’altro, circostanza che ha lasciato ampio spazio all’affermazione della politica con le sue altrettanto pressanti pretese di autorità e autonomia. Ora, che la teoria della secolarizzazione in Europa non sia più un paradigma valido non è un mistero e che la breccia nell’assetto di tale separazione tra religione e politica sia stata determinata dall’avanzare dell’immigrazione straniera e da stili di vita che non rispondevano a riferimenti religiosi interni all’Europa è un dato altrettanto scontato. È altresì noto che in Europa il fallimento dell’integrazione sia stato il motore del ritorno al sacro e della ripresa di un’attenzione ideologica all’identità soggettiva, tuttavia, la strategia che Rizzi propone per superare la crisi attuale è quella di ascendenza americana che consiste nel moltiplicare le denominazioni cristiane per affiancare alle istante comunitarie e intransigenti denominazioni più attente ad aspetti progressisti e liberali, in modo da riuscire a inglobale tutta la popolazione credete, dai conservatori ai progressisti. Può funzionare così?
ML (18/04/20) per Agorasofia
