Una storica lezione sull’intolleranza: Ben Jelloun, Il razzismo spiegato a mia figlia

A venticinque anni dalla prima pubblicazione di questo sintetico opuscoletto, il tema del razzismo si pone ancora e prepotentemente come questione urgente, specialmente dopo gli ultimi episodi della cronaca italiana, spesso derubricati ad accadimenti sporadici, e la piega che prende in tutto il mondo la rivendicazione identitaria. Lo scrittore francese, di origine marocchina, cerca di spiegare in questo testo, adottando parole semplici e generalizzazioni efficaci (non sempre corrette: hutu e tutsi non sono due etnie diverse, ma si tratta della stessa popolazione divisa dai dominatori belgi per sottometterla meglio), le ragioni e le origini dell’odio razziale, non in uno stile pomposo, trattatistico, ma con brachilogie, al fine di esaudire le richieste di chiarimento di sua figlia di 13 anni. Ne risulta un testo leggero, semplice, ma al tempo stesso impegnativo e pregnante, da adottare a per ragioni didattiche in tutte le scuole per efficaci lezioni di Educazione civica, ad esempio. Due le acquisizioni fondamentali di questo testo che necessitano di essere condivise e affermate a livello pedagogico: in primo luogo, il fatto che i bambini e le bambine non nascono razzisti/e, ma lo diventano per motivi legati all’educazione impartita nella socializzazione primaria, quella familiare, e in quella secondaria, appena essi entrano a far parte delle varie comunità immediatamente a disposizione. In secondo luogo vi è l’affermazione secondo la quale i meticci sono sempre belli giacché è proprio “la mescolanza che crea la bellezza!”

Tahar Ben Jelloun, Il razzismo spiegato a mia figlia, Bompiani, Milano 2005.

ML (16/11/2024) per Agorasofia

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