Le parole del Festival che (non) abbiamo ascoltato
È finita! La settimana del Festival di Sanremo 2025 va in archivio e con lei anche la distrazione di massa che ha sospeso la narrazione politica delle crisi in corso. Undici autori, in particolare, hanno firmato quasi tutte le canzoni, contribuendo in modo decisivo a influenzare, volente o nolente, il gusto musicale e l’immaginario collettivo di chi la musica la subisce da consumatore passivo, sul divano di casa… e stiamo parlando solo di 13 milioni e 427 mila persone.
Riflettendoci, si tratta di una responsabilità non da poco! Il palco di Sanremo è una sorta di pulpito laico e può rappresentare l’occasione per lanciare messaggi importanti, come accaduto talvolta in passato. Così, un po’ per gioco, un po’ perché crediamo davvero che le parole facciano cose, come sosteneva il filosofo inglese J.L. Austin, ci siamo cimentati in un’analisi semantica delle ricorrenze presenti all’interno dei testi delle canzoni in gara e abbiamo scoperto un paio di cose interessanti.


1. L’Amore, la vita, i baci e i cuoricini…
È chiaro, il Festival di Sanremo rimane ancorato in modo ruffiano a ciò che più amiamo ascoltare: le canzoni d’amore, che altro? Sicché, le parole riconducibili al semantema “amor-/love/aime” compaiono ben 76 volte in 24 canzoni su 29. Un amoreggiare persistente e mellifluo, rafforzato da tradizionali alleati simbolici come anima e core… e cuoricini (semantema “cuor-/core” 58 ricorrenze in 9 canzoni). Perché alla fine, anche cantato come struggente o disperato, e non necessariamente sdolcinato, l’amore richiama una dimensione rassicurante: uno smorzato slancio vitale (semantema “viv-/vit” 61 ricorrenze in 13 canzoni) utile perché lo spettatore non si ridesti dal suo rin-cuorante divano.
2. Il buio, la morte, la paura… nell’epoca delle passioni tristi
Ma Sanremo, si sa, non è solo rose e fiori, infatti questi ultimi, onnipresenti sul palco, compaiono una volta appena, nella canzone di Achille Lauro. Le parole che, invece, rimanderebbero a sentimenti “negativi” sono ben rappresentate. Infatti, il morire, foss’anche per amore, e il soffrire, appoggiato all’ansia, o alla paura che sprofonda nel buio, rimangono sempre tematiche utili a generare un determinato universo simbolico, oltre ad aprire (im)memorabili dibattiti da talk show, che spaziano dallo struggimento esistenzial-passionale gossipparo alla trattazione superficiale operata dai sempiterni guru del web e della TV pronti a sguazzare con perle di saggezza su inquietanti disagi giovanili.
3. I grandi assenti: la pace, la libertà e la partecipazione
Sorprende, forse, che i temi un tempo più quotati nel panorama di un cantautorato che oggi il mainstream vorrebbe goffamente riesumare, quali libertà, partecipazione, società, politica, ecc. siano tutto sommato assenti. Ma in effetti, ripensandoci, non sorprende affatto, considerati i tempi attuali e la narrazione strumentale che è stata fatta anche del conflitto israelo-palestinese, con due cantanti pronte a invitare alla pace sulle note di Imagine, salvo constatare con Ghali che nessuna delle due fosse poi palestinese!
4. Armi, droga, sesso, soldi… dov’è finita la vera trap?
Piuttosto deludente, invece, sembra essere stato il tentativo di addomesticare il mondo dei rapper e dei trapper, cioè di tutto quel contesto urban che notoriamente ha come suo riferimento principale la violenza delle periferie metropolitane, fatta di droga, armi, prostituzione, cioè di un degrado che da sempre ha costituito l’humus di chi cerca, nel tentativo di riscatto, di venirne fuori oppure di chi, affascinato dal potere, cerca di cavalcare il fenomeno e diventarne protagonista. Epurare tutto quel marciume, che purtroppo esiste ed è reale, dalla trap è sembrato piuttosto forzato e anche Jake la Furia non le ha mandate a dire!
5. Finale: Fottere!
Un messaggio, crediamo, si è imposto in modo molto chiaro. Nel Festival della Restaurazione – certo, resterebbe poi da capire quando sia avvenuta la precedente Rivoluzione – non c’è spazio per contenuti explicit. Il semantema cazz compare solo due volte, nella canzone di Willie Peyote; stessa ricorrenza per stronz, anche se associata ad un più titubante forse, nella canzone della pasionaria Marcella Bella. Tocca, invece, a Rkomi cimentarsi in una citazione, associando merda ad artista. Tuttavia, nel trionfo del politicamente corretto, della melassa mainstrem architettata ad hoc per un uditorio che si sapeva cospicuo, nell’ascoltare ben 14 volte il semantema fott– si ha l’impressione che effettivamente il clima nel nostro Paese sia quello del chiagne e fott, così, detto in napoletano, tanto ormai anche i dialetti a Sanremo sono di casa!
ML e AP (20/02/25) per Agorasofia
