Nel 1971, in un periodo in cui in modo intenso e drammatico emergevano tentativi tesi a ridefinire i legami sociali filtrati dalle istituzioni, gli autori di un testo dal titolo emblematico L’erba voglio. Pratica non autoritaria nella scuola, testimoni e teorici della bontà delle pratiche educative non autoritarie, si richiamavano alla necessità di prendere definitiva coscienza che il mondo del lavoro e il mondo della scuola sono già, all’interno di un sistema educativo di massa, pensati dall’alto come strettamente connessi.
Elvio Fachinelli, Luisa Muraro Vaiani e Giuseppe Sartori, proprio alla luce di tale connessione, sostenevano, quindi, che gli obiettivi delle sollevazioni studentesche e operaie di quegli anni, riconducibili al miglioramento delle condizioni di lavoro per i salariati e delle pratiche educative per gli studenti posti all’interno della società e della scuola di massa, non potessero essere raggiunti solo attraverso lo sciopero. Era altresì necessario, sostenevano in modo più radicale, «sottrarsi a tutti i meccanismi di controllo diretto e di incentivazione indiretta al superlavoro» (p. 16).
Si sarebbe trattato, cioè, di contestare ogni rapporto autoritario che, impostosi come giusta relazione naturale – fondata, cioè, sulla presunta non artificialità della relazione superiore/sottomesso – sin dall’educazione ricevuta a scuola, finiva poi col trasferirsi nel mondo del lavoro e nelle relazioni sociali tout court.
Secondo gli autori, alle dinamiche psicosociali di assoggettamento all’autorità, rese esplicite e rafforzate nel consenso acritico offerto ad ogni richiesta proveniente dall’alto, era, ed è, possibile sottrarsi, dicendo “no!”. Ad ogni richiesta di superlavoro basterebbe dire semplicemente “no!”, rigettando, perché smascherata, quella mistica della sollecitudine attivata dalle richieste crescenti in ogni ambito, lavorativo e scolastico, poi ricompensate attraverso la lubrificazione dei rapporti sociali, da celebrare attraverso l’elargizione di un premio, un bonus una tantum o attraverso il semplice sorriso istituzionale, un elogio ostentato nelle cerimonie pubbliche organizzate affinché il lavoratore virtuoso possa essere preso ad esempio dagli altri colleghi negligenti.
Il fatto rilevante, già emerso nel periodo successivo l’abbagliante sviluppo produttivo del boom economico e ben più evidente oggi, è che le motivazioni allo studio, così come quelle al lavoro, vengono in realtà continuamente frustrate dai meccanismi autoritari e «il prezzo pagato, in termini di superfatica, di tempo, di tensione» (p. 17) risulta essere troppo elevato rispetto ad una situazione socioeconomica e culturale che permane deludente, se non deprimente.
L’errore, in realtà, non va individuato nel sopravvalutare il prezzo, lo sforzo anche eccessivo, che tutte e tutti sono ben disposti a pagare per garantirsi una crescita intellettuale, morale, civile, professionale, ma nel sopravvalutare la promessa, espressa da istituzioni, quelle connesse al lavoro e all’istruzione, sempre più soggiogate dal mercato, a tal punto da introiettare i suoi stessi metodi autoritari. Ad uscirne compromesso è il legame tra gli individui e le istituzioni, vieppiù svuotate di autorevolezza, barattata con un proliferare incontenibile di regole e regolamenti, divieti e punizioni, assunti a burocratici strumenti dell’esercizio di un potere autoritario e distante, che irretisce il pensiero critico e schiaccia ogni emancipazione effettiva (in primo luogo culturale) sotto il peso di linee guida e circolari interne.
Insomma, il testo L’erba voglio. Pratica non autoritaria nella scuola, che ha guidato il nostro ragionare e di cui riportiamo in calce alcuni passi scelti, ci sembra essere di grande attualità. Lo testimonia l’ultima vicenda che ha visto il Ministero dell’Istruzione e del Merito avviare un procedimento di contestazione dei requisiti di accreditamento per il convegno organizzato per il 4 novembre da Cestes-Proteo, in collaborazione con l’Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole e delle università, dal titolo: “4 novembre la scuola non si arruola”. Ecco, sulle motivazioni da Psicoistruzione, che hanno quindi portato ad annullare il convegno rivolto a docenti e incentrato sull’educazione alla pace e sulle dinamiche in gioco nelle guerre in corso, riteniamo occorrerebbe maggiore chiarezza, proprio per evitare di fare apparire tale atto una misura maldestramente autoritaria, contraria al pluralismo, condizione, quest’ultima, sostanziale e costituzionale della Scuola pubblica italiana.
AP (01/11/2025) per Agorasofia
Crisi d’autorità (pp. 14; 17, 18)
«Si tratta della figura stessa dell’autorità, che dentro la scuola non arriva più a istituirsi positivamente, per cui non rimane, nella scuola come nella società, che far valere dei rapporti di potere, gestiti burocraticamente da larve d’autorità. È quello che si dice autoritarismo. L’autorità, precedentemente riconosciuta come rapporto di dipendenza funzionale rispetto a un fine accettato, svuotandosi appare e tende ad essere puro rapporto di forza. Diventa esplicito ciò che prima era implicato in una struttura complessa. Questo autoritarismo è riconoscibile nel ritorno d’importanza del voto di condotta, nel ricorso a misure disciplinari, nell’incremento delle classi e scuole speciali e differenziali; ma anche nel modo stereotipato e passivo di comunicare il cosiddetto sapere (la cui prevalente funzione utilitaristica: per il posto, per la carriera, per la media, per la borsa di studio, nessuno prova più a negare), sapere dal quale quelli stessi che lo trasmettono sono ormai separati. Ma non è necessario individuare dei fatti nuovi per dichiarare la crisi dell’autorità e la sua corruzione. […] L’autoritarismo scolastico non si esercita solo su chi è dentro la scuola; esso è anche esclusione, definizione rigida di competenze e costrizione a tacere e a subire per i non competenti. […] Su questo sfondo di disagio, che per gli insegnanti si somma con quello di una perdita di prestigio sociale, bisogna collocare le cosiddette esperienze non autoritarie. […] La risposta del potere sembra essere un progetto di razionalizzazione: anticipare e controllare la preparazione professionale degli insegnanti, coordinare le scelte alle esigenze dello sviluppo sociale, […] separare e collocare gli individui refrattari…».
