C-D

Luigi Campiglio, Stefano Zamagni, Crisi economica, crisi antropologica. L’uomo al centro del lavoro e dell’impresa, Il Cerchio, Rimini 2010

Il primo importante elemento che emerge dalle considerazioni di Campiglio e Zamagni è che quella cominciata nel 2007 non era affatto una crisi congiunturale o regionale, ma era una crisi sistemica, legata ad un modo di pensare e di intendere l’economia e, di conseguenza, l’intera società. La trasformazione occorsa negli ultimi anni, che ha condotto dal capitalismo industriale al capitalismo finanziario, ha modificato strutturalmente e antropologicamente il modo di ragionare di uomini e donne del nostro tempo, ha cambiato i loro valori di riferimento in seguito alla “finanziarizzazione della società”. Questa deriva non è che l’apoteosi della logica dell’homo oeconomicus, dell’assunto indimostrato, ammantato di scientificità, secondo il quale l’egoismo liberista, il meccanismo del Trickle down, potesse diffondere il benessere tra tutti. Ciò che domina in questa mentalità economicistica è il «mito performativo», che non è solo il mito dell’efficienza, ma in maniera più filosofica è l’idea che qualsiasi cosa venga fatta, anche se scorretta da un punto di vista etico, diventa una strada percorribile, reale e vera per il solo fatto che è stata intrapresa. Zamagni ritiene che spetti alla società civile riprendere le redini di un processo sicuramente reversibile, ma che mette in campo notevoli energie per modificare un universo simbolico a partire dalle giovani generazioni in tema di economia. È necessario far passare l’idea che la crisi sia superabile collettivamente, ma occorre anche cambiare il modo di concepirla; essa non è un limite, ma un’opportunità che si dischiude se il pensiero si apre a nuove vedute, a opzioni che l’angusta mentalità calcolante non può prevedere. Clicca qui per acquistare il libro.

ML (04/08/2021) per Agorasofia


Luciano Canfora, Critica della retorica democratica, Laterza, Roma-Bari 2005.

L. Canfora, Critica della retorica democratica

Con il pretesto della vicenda processuale di Socrate, Canfora prende spunto per discutere della tirannia del numero, dei criteri enumerativi nella deliberazione democratica, spesso facilmente influenzabili dalla propaganda e dai mezzi di comunicazione, una vera e propria diseducazione di massa. L’antidoto, secondo il filologo barese, a questo imperialismo della massa starebbe in un’adeguata formazione politica in grado d’istruire le persone sulle procedure delle deliberazioni. La proposta sembra interessante, ma ci si potrebbe chiedere: chi si fa carico di questa imparziale formazione politica? Come si può pensare che il politico di turno sia davvero scevro da pregiudizi e precomprensioni? E poi, in seconda analisi, per il formatore è davvero possibile presentarsi come un «soggetto vuoto» davanti ai propri uditori? Nonostante l’esplicito riferimento ad un contesto notoriamente di parte, questo testo di Canfora, in realtà molto divulgativo, è denso di spunti di riflessione, non da ultimo quello inerente al ruolo della oligarchia al potere all’interno del regime democratico eletto con il sistema maggioritario, laddove si verifica necessariamente uno schiacciamento verso il centro moderato, eliminando gli estremi, che non è detto siano deleteri per la collettività, ma potrebbero rivelarsi dei presidi di criticità e di contrasto alle lobby di potere. Clicca qui per acquistare il libro.

ML (25/10/2011) per Agorasofia


Noam Chomsky, Le dieci leggi del potere. Requiem per il sogno americano, Ponte alle Grazie, Milano 2017

«Aristotele aveva ragione: per risolvere il paradosso della democrazia occorre ridurre le disuguaglianze non la democrazia»

Chomsky svela in quali modi i padroni dell’umanità – nell’epoca del neoliberismo capitalistico gli istituti finanziari e le multinazionali – riescano a conservare ed accrescere il proprio potere: «Sono loro che obbediscono alla vile massima: “Tutto per noi e niente per gli altri”. Costoro perseguono politiche che vanno a loro vantaggio e danneggiano gli altri». Volendo lasciare intatta al lettore la possibilità di farsi guidare dalla narrazione di Chomsky, qui ci interessa soffermarci su uno dei meccanismi più sofisticati dei quali si servono le istituzioni per soggiogare i cittadini, tenendone a freno aspirazioni e iniziativa politica. Si tratta della precarizzazione del lavoro, cioè di una strategia politica orchestrata ad hoc che, per Chomsky, sembra aver investito gli americani soprattutto negli ultimi trent’anni, con conseguenze nefaste che incidono negativamente sulla partecipazione alle pratiche democratiche. Nella pletora dei contratti precari o part-time, leggiamo infatti, «gli americani sono riusciti a mantenere il proprio stile di vita innanzitutto incrementando le ore di lavoro. […] Questo ha un effetto di disciplinamento: meno libertà, meno tempo libero, meno tempo per pensare, più ordini a cui obbedire». L’analisi di Chomsky arriva così a chiarire come le istituzioni del capitalismo neoliberale, con la complicità di quelle tradizionali, preferiscano, soprattutto in situazioni di crisi, diminuire la propria democratizzazione, riportando le persone ad uno stato di inerzia – più congruo al controllo che esse voglio praticare – di depoliticizzazione, adiaforizzazione. Rispetto a ciò, come in Italia dovremmo ormai aver compreso da un pezzo, il controllo dei mezzi di comunicazione risulta un alleato fondamentale per sopire eventuali spinte al cambiamento. Con la riproposizione, paventata o reale non importa, di un’imminente nuova ondata di precarietà, causata dalla prossima inevitabile crisi annunciata a reti unificate, tale controllo contribuirà a mantenere il popolo passivo e apatico. Niente di meglio per consentire ai padroni del mondo una maggiore capacità manovra, nonché di previsione e controllo dei comportamenti umani potenzialmente devianti, considerati, cioè, nocivi al mantenimento dello status quo. Clicca qui per acquistare il libro.

AP (16/09/2023) per Agorasofia


Duccio Demetrio, Graziella Favaro, Didattica interculturale. Nuovi sguardi, competenze, percorsi, FrancoAngeli, Milano 2004.

Demetrio Favaro

Se il contributo di Demetrio è maggiormente incentrato sull’analisi dello statuto e sulle specificità dell’educazione interculturale, quello di Favaro rappresenta la declinazione operativa dell’intercultura nella scuola italiana. Prima di addentrarsi negli argomenti, tuttavia, gli autori ritengono che sia necessario innanzitutto chiarire il significato dei prefissi inter-, trans– e multi-, che affollano il panorama degli studi sociologici, antropologici e pedagogici in riferimento alle modalità di considerare e gestire il pluralismo culturale. Certamente, una delle chiarificazioni migliori ha a che fare con l’adozione di procedure educative atte ad agevolare l’interazione di soggetti provenienti da mondi e culture diversi. È evidente che per addentrarsi in questo discorso occorre fare un lavoro epistemologico sul valore delle culture, sul relativismo dei valori, fino a costruire una vera e propria sensibilità relativistica, necessaria per accedere alla difesa del singolo, la quale viene poi percorsa attraverso due prospettive teoriche e pratiche molto interessanti: l’etnopsichiatria e la fenomenologia esistenziale, due correnti che confluiscono nel lavoro che Demetrio conduce presso la Libera Università dell’Autobiografia. Favaro, dal canto suo, coglie l’occasione per fare il quadro dell’importanza della scuola nell’avviare percorsi interculturali e, al tempo stesso, approfitta per chiarire che è proprio la scuola il luogo privilegiato che si presta a costruire la società interculturale, che è una società orientata da valori positivi, come la tolleranza, la solidarietà, l’incontro, il dialogo, la valorizzazione della diversità, e a prendere le distanze da aberrazioni, di cui pure l’essere umano è capace. Clicca qui per acquistare il libro.

ML (17/06/2020) per Agorasofia


Jacques Derrida, Come non essere postmoderni. A proposito di neologismi, nuovismi, postismi, parassitismi e altri minori sismismi, MC, Milano 2019.

J. Derrida, Come non essere postmoderni

Con un titolo piuttosto infelice viene presentata in Italia una breve relazione di Derrida che, con il suo stile volutamente frammentario, risulta utile per comprendere l’orizzonte entro il quale deve essere correttamente intesa la decostruzione. L’occasione di trattare negli USA il tema “Gli stati della teoria” dà agio al filosofo francese di chiarire una volta per tutte perché la decostruzione non può lasciarsi facilmente intrappolare all’interno di una teoria generale concernente la filosofia postmoderna e nemmeno trattata sotto la nomenclatura di decostruzionismo. Dopo aver minuziosamente decostruito (per l’appunto!), vale a dire derubricato l’uso del tradizionale concetto di teoria alla più fluida menzione di gettata teorica, Derrida si rifiuta di trattare la decostruzione come una teoria, con le sue regole e il suo metodo, perché essa non è che un evento sotto gli occhi di tutte e tutti nella realtà sociale e politica contemporanea e consiste nel rifiuto di ogni forma di oggettivazione, di assoggettamento, di classificazione scientifica perpetrata con le categorie della tradizione moderna. Alla fine, il “decostruzionismo”, da parte sua, si presenterebbe come un tentativo di ingabbiare la gettata destabilizzante della decostruzione all’interno di una gettata stabilizzata per mezzo di regole e metodi ben definiti, ma questa non è mai stata l’intenzione del filosofo francese e la Wirkungsgeschicte del decostruzionismo ha preso il sopravvento ben oltre l’opera dello stesso Derrida. Clicca qui per acquistare il libro.

ML (31/01/2011) per Agorasofia


 Émile Durkheim, Per una sociologia della famiglia, Armando Editore, Roma 1999.

Il volume raccoglie due importanti riflessioni di Émile Durkheim sul tema della famiglia, di cui la seconda viene qui presentata nella curatela postuma fatta dal suo allievo Marcel Mauss. Il primo testo del 1888, Introduzione alla sociologia della famiglia, esprime la preoccupazione principale di Durkheim in quegli anni, cioè quella di chiarire innanzitutto il metodo, lo scopo e il rapporto in cui la sociologia si trovava con le altre scienze come la psicologia, la storia, la giurisprudenza, la filosofia e, nella fattispecie, occupandosi della famiglia, anche con la demografia e l’etnografia. Sullo sfondo di questa precauzione metodologica accurata da parte del sociologo francese emerge una trattazione puntuale della famiglia, considerata come una tipologia di aggregato sociale da analizzare in prospettiva storica ed evoluzionistica: della famiglia patriarcale romana e da quella paternalistica germanica si dipana quella che è la forma attuale della famiglia moderna, nucleare e borghese, marcatamente occidentale, posta sotto la tutela dello Stato. L’altro testo, curato da Mauss, La famiglia coniugale del 1892 esprime in poche battute un punto di vista più analitico e al contempo programmatico sulla società: Durkheim intende dimostrare che la specifica evoluzione, che ha subito la famiglia negli anni, ha generato una progressiva individualizzazione e privatizzazione dei legami sociali, per cui la contrazione della famiglia moderna coniugale non assolve più al suo compito originario, cioè quello di creare una solidarietà organica e, di conseguenza, occorre cercare altrove un legame forte per la coesione sociale. La soluzione di Durkheim sta nel proporre come struttura di mediazione il gruppo professionale: dalla trasmissione di un dovere domestico, dallo sviluppo di valori legati alla morale domestica, si deve passare a valori specifici della morale professionale, tutta da costruire insieme al dovere professionale, un prospettiva laburistica, anch’essa marcatamente occidentale, che mette al centro il lavoro, come se tutta l’esistenza fosse riducibile al lavoro. Clicca qui per acquistare il libro.

ML (22/06/2025) per Agorasofia