Francesco Remotti, Contro l’identità, Laterza, Roma-Bari 2001

In questo testo l’antropologo Francesco Remotti si presenta con un linguaggio scorrevole, delle argomentazioni chiare e un preciso messaggio da sostenere senza mezzi termini: l‘identità è una costruzione fittizia, inventata e, per di più, mistificata, spacciata come fosse un’ipostasi, una sostanza sovrastorica e sovratemporale. Spesso la rivendicazione di un’identità forte, che assume significato nello scontro oppositivo con l’alterità, incontra nel monoteismo una fonte di legittimazione divina che l’avvolge e le conferisce quella significatività necessaria, quel senso di verità e giustizia indispensabile per attivare meccanismi di violenza nei confronti di tutto ciò che è diverso. Attraverso l’analisi delle pratiche, ritenute barbariche dalla mentalità occidentale, di cannibalismo presso i Tupinamba viene messa in luce una modalità di assimilare e comprendere l’alterità all’interno dell’identità, pratiche nei confronti delle quali assumiamo, spesso affrettatamente, un atteggiamento troppo caritatevole. Purtroppo, avverte l’antropologo Remotti, l’Occidente ha sperimentato il monoteismo e l’identità forte raggiungendo punte di parossismo della violenza. Ora, nel solco del pluralismo, i tempi sono maturi per cominciare a sperimentare il politeismo, l’ibridismo e il meticciato, chissà che i risultati non siamo migliori! Clicca qui per acquistare il libro.
ML (08\08\2009) per Agorasofia
Franco Ricordi, Filosofia del bacio. La teatralità dell’amore nella storia dell’Occidente, Mimesis, Milano 2012

Uno degli aspetti più interessanti del bacio è, secondo Franco Ricordi, il fatto che possa essere considerato un dono e al tempo stesso un linguaggio universale che unisce due persone, la quintessenza dell’amore. È interessante anche constatare il fatto che il bacio sia legato non alla genitalità, ma alla bocca, cioè l’organo che ci permette di parlare, l’organo attraverso il quale si esprime il linguaggio e ci apriamo al mondo con la parola. Tuttavia, una leggerezza che commette Ricordi è quella di ritenere la fenomenologia del bacio come una fenomenologia universale, mentre sappiamo dagli studi antropologici più recenti che molte culture non ammettono il bacio tra le loro pratiche connesse con l’amore, l’affettività o con la sessualità e che addirittura lo trovino disgustoso. Sappiamo, ad esempio, che presso la la tribù brasiliana degli Wari’ o presso i sudafricani dei Tsonga il bacio non sia assolutamente una pratica romantica, ma alquanto ripugnante, mentre ricordiamo, anche da spot pubblicitari, come gli eschimesi preferissero strofinarsi le punte del naso per mostrare la loro affettività. Anche in Cina il bacio è considerato poco igienico, mentre in altri sistemi statali, come in Malesia, il bacio in pubblico è addirittura proibito per legge, ma questo è un altro discorso. Un assunto sicuramente condivisibile dell’autore è che attraverso il bacio, che si manifesta come una delle possibilità etiche dell’essere umano, in fondo, si esprime un inno alla vita. Il legame che dal bacio conduce all’amore e poi alla relazione coniugale e, infine, alla progenie è un modo per sentirsi pienamente all’interno del circolo della vita, senza stigmatizzare, ovviamente, quelle esperienze che non vanno oltre il bacio e che pur restano memorabili per il trasporto emotivo che si fissa per sempre nella memoria soggettiva. L’ultima parte del testo è dedicata alla critica di una contemporanea visione dell’amore e del bacio: ciò che si mette in discussione è il fatto di concepire il bacio come qualcosa di frivolo. Viene contestata l’idea che i giovani di oggi non concepiscano il bacio come tradimento, perché sopraffatti da una società che ha fatto dello spettacolo pornografico la sua bandiera e da cui i giovani non saprebbero difendersi. L’invettiva contro l’attuale società, giudicata “superficiale”, dominata dalle “crisi d’identità”, “devastante”, forse risulta eccessiva, come anche non si comprende il riferimento surrettizio «al senso del divino che il bacio in bocca da sempre ci ha regalato». In nome della libertà che l’amore rappresenta, forse bisognerebbe essere disposti ad accordare libertà anche ad altre concezioni dell’amore e del bacio, anche al bacio in bocca, come quello fraterno e socialista che ha reso celebri il leader russo Leonid Brezhnev e il Presidente del partito SED della Germania dell’est Erich Honecker. Clicca qui per acquistare il libro.
ML (20/07/2025) per Agorasofia
Marco Rizzi, La secolarizzazione debole. Violenza, religione, autorità, il Mulino, Bologna 2016

La tesi dell’autore, in linea con la maggior parte degli studiosi contemporanei, è che la teoria della secolarizzazione, con le dovute precauzioni metodologiche, può funzionare solo per il Cristianesimo, ma non per le altre religioni. Da storico del cristianesimo e credente, Rizzi ribadisce che la secolarizzazione non è altro che quel fenomeno di separazione che si è dato storicamente, con differenze specifiche, tra istituzioni politiche e istituzioni religiose in diverse parti dell’Europa. L’apporto di Rizzi, tuttavia, sta nella lettura della secolarizzazione come un percorso in cui si è raggiunto un preciso equilibrio, in seno al Cristianesimo, tra principio di autorità da un lato e istanze critiche ed ermeneutiche dall’altro, circostanza che ha lasciato ampio spazio all’affermazione della politica con le sue altrettanto pressanti pretese di autorità e autonomia. Ora, che la teoria della secolarizzazione in Europa non sia più un paradigma valido non è un mistero e che la breccia nell’assetto di tale separazione tra religione e politica sia stata determinata dall’avanzare dell’immigrazione straniera e da stili di vita che non rispondevano a riferimenti religiosi interni all’Europa è un dato altrettanto scontato. È altresì noto che in Europa il fallimento dell’integrazione sia stato il motore del ritorno al sacro e della ripresa di un’attenzione ideologica all’identità soggettiva, tuttavia, la strategia che Rizzi propone per superare la crisi attuale è quella di ascendenza americana e consiste nel moltiplicare le denominazioni cristiane per affiancare alle istante comunitarie e intransigenti denominazioni più attente ad aspetti progressisti e liberali, in modo da riuscire a inglobale tutta la popolazione credete, dai conservatori ai progressisti. Può funzionare così? Clicca qui per acquistare il libro.
ML (18/04/20) per Agorasofia
Marshall B. Rosenberg, Le parole sono finestre (oppure muri). Introduzione alla comunicazione nonviolenta, Esserci, Reggio Emilia 2017

Marshall B. Rosenberg è universalmente riconosciuto come uno dei maestri della comunicazione nonviolenta e con Le parole sono finestre (oppure muri). Introduzione alla Comunicazione Nonviolenta entra a pieno diritto anche in Italia nel Pantheon degli autori che occorre leggere per accedere ad una forma pedagogica di risoluzione dei necessari ed inevitabili conflitti interpersonali. Secondo Rosenberg la possibilità di realizzare un comportamento nonviolento risiede nella capacità di attivare l’empatia, che poi è il perno intorno al quale ruota tutta la sua opera. L’empatia è intesa come la capacità di entrare in connessione con l’altro, in contatto intimo con gli esseri umani, infatti l’eventualità di entrare in conflitto è giocata interamente sulla perdita di empatia. Occorre esercitare il pensiero e l’azione affinché l’empatia sia consolidata come comportamento stabile del nostro modo di relazionarci con gli/le altre/i, anche in situazione tragiche. Nella congiunzione tra il pensiero filosofico di Martin Buber, la pratica psicoterapeutica di Carl Rogers e l’etica della responsabilità, con particolare riferimento a Etty Hillesum, Rosenberg trova la via per superare la pratica clinica e accedere ad una nuova forma di linguaggio che permette maggiormente di empatizzare con l’altra/o. A tal fine lo psicologo formula la pratica della Comunicazione Nonviolenta, basata sul principio secondo il quale il linguaggio, e quindi la comunicazione tout court, sia l’aspetto fondamentale e imprescindibile delle relazioni interpersonali. A partire dal linguaggio gli esseri umani possono entrare in connessione tra di loro e così adottare un schema di vita diverso rispetto a quello fondato sulla rottura e che preveda, invece, anche la rinuncia alla difesa, al giudizio, alla reazione. Clicca qui per acquistare il libro.
ML (14/11/2024) per Agorasofia
Fernando Savater, Politica per un figlio, Laterza, Roma-Bari 2010

L’opera ha la pretesa di essere una sorta di Ortensio, vale a dire un invito accorato e preparatorio, per l’avvicinamento alla politica in favore di un/una giovane immaginaria/o, quale potrebbe essere un/una figlia/o, ma anche un/una allieva/o, una/uno studente/studentessa che, uscendo dall’ambiente familiare protetto, si scontra con l’altra/o e con i problemi legati alla gestione efficace dello spazio pubblico. In questo contesto civile e sociale, caratterizzato dalla pluralità, secondo Fernando Savater occuparsi di politica vuol dire parlare di potere, organizzazione della società, mutuo soccorso, sfruttamento dei deboli, uguaglianza e diritto alla differenza e per ciascuno di questi temi l’autore intrattiene piacevolmente il/la propria/o interlocutore/trice, facendo brevemente riferimento a qualche filosofo del passato e ad aneddoti della storia recente. La vocazione libertaria di questo studioso, che ha fatto della divulgazione una missione educativa importante, emerge in maniera netta e ciò non gli impedisce di abbozzare dei tentativi pedagogici per ricucire il tessuto sociale attraverso quell’attenzione alla dimensione collettiva che, scomodando per l’occasione Aristotele, risulta essere imprescindibile. E, tuttavia, come gran parte delle opere contemporanee sulla politica, anche in questa di Savater viene dato maggior peso, in chiave retorica, all’invenzione greca della democrazia, peraltro fortemente esclusiva ed elitaria, piuttosto che a quella romana della cittadinanza estesa, massimamente inclusiva, aperta anche agli stranieri. Sarà, forse, che questa supervalutazione e difesa ad oltranza della democrazia, come precipuo valore occidentale, sia ancora un retaggio colonialistico e imperialistico che l’Occidente non riesce a scrollarsi di dosso? Del resto, dopo aver risposto alla domanda precedente, ci si dovrebbe chiedere: quanti e quali orrori il potere ha giustificato in nome del valore della democrazia occidentale in giro per il mondo? È chiaro che gli intellettuali, i docenti, i formatori hanno un ruolo fondamentale nella costruzione dei valori politici per una società pluralistica aperta, accogliente e inclusiva, ma forse bisogna inventare nuove parole d’ordine e volgere lo sguardo anche altrove, magari lontano dall’Occidente, per scoprire modelli politici e sociali che hanno funzionato anche meglio di quelli che ancora non riescono a bandire la violenza, la guerra, la distruzione…insomma, se il lavoro educativo sulla politica fino ad oggi è stato impostato sulla difesa dei valori occidentali, con l’aria che tira, bisogna ammettere che non è stato proprio un grande lavoro! Clicca qui per acquistare il libro.
ML (09/03/2025) per Agorasofia
Alfonso Scotto di Luzio, Senza educazione. I rischi della scuola 2.0, il Mulino, Bologna 2015

Alla luce della piega che la scuola ha preso dal 2020 con l’irruzione della pandemia e la massiccia introduzione della tecnologia informatica a supporto della didattica, il volume di Scotto di Luzio del 2015 appare quasi profetico. La posizione del pedagogista è chiara: non si tratta di demonizzare in generale le tecnologie informatiche, ma esprimere una sostanziale perplessità in relazione al loro uso nella scuola, avvenuto senza un’adeguata valutazione del loro impatto, senza un preciso obiettivo da conseguire, ma solo sulla base di una necessità imposta dal mercato. L’efficacia di determinati strumenti sugli apprendimenti si valuta sperimentando le ricadute in termini di literacy, che è la competenza linguistica, e di numeracy, cioè la capacità di calcolo e quantificazione, ma nei documenti che avviavano la sperimentazione informatica nella scuola italiana mancava qualsiasi discorso inerente alla valutazione di quelle competenze. Ciò che contesta l’autore, dunque, è l’assenza di una precisa progettualità dell’iniziativa, la carenza di un approccio sperimentale vero e proprio, ma anche, di fatto, l’impossibilità di valutare le ricadute e l’impatto sull’educazione della tecnologia informatica. Eppure, a fronte di una scarsità di informazioni in tal senso, vi è stato un massiccio investimento economico per portare nella scuola una quantità impressionante di materiale informatico, il cui scopo restava oscuro. Alla fine ciò che emerge è che l’introduzione della tecnologia informatica nelle scuole non è funzionale a colmare il digital divide, cioè la disuguaglianza tecnologica nel possesso e nelle competenze necessarie per l’uso delle tecnologie, giacché molto spesso questa non fa che sovrapporsi parallelamente alle disuguaglianze sociali, che invece restano intatte. Clicca qui per acquistare il libro.
ML (25/08/2021) per Agorasofia
Luis Sepulveda, La fine della storia, Guanda, Milano 2016

Se non ammalia con le favole, di solito Luis Sepulveda, autore cileno – quindi fuori dalle grazie dei suprematisti e colonialisti europei palesatisi negli ultimi giorni – commuove con il romanzo storico, quello appassionato, vissuto in prima persona in quella parte del mondo in cui le ideologie e i regimi fascisti hanno dato il peggio ben oltre la fine delle dittature che abbiamo prodotto e conosciuto nel nostro vecchio continente. La fine della storia è un titolo altisonante per un romanzo, che, tuttavia, non è privo di richiami al suo omonimo saggio, opera ponderosa e pretenziosa di Francis Fukuyama, sia nello sguardo dal sapore postmoderno e disilluso con cui si accosta alle ideologie moderne sia per il riferimento all’ultimo uomo, quel carnefice cosacco che sconta gli ultimi giorni in carcere, in attesa, magari, di un bollettino medico che decreti l’incompatibilità delle sue condizioni di salute con la detenzione penitenziaria (sic!). La storia, quella mondiale, da Mosca a Santiago del Cile, passando da Tolmezzo e Monaco, è sempre la stessa, dominata dalla violenza umana, preda della solita spirale di vendetta capace di autoalimentarsi nonostante e al di là di armistizi, amnistie e trattati di pace. Ed è una storia che attraversa la Russia sovietica di Trotsky, la Germania nazista di Hitler e poi giunge fino al Cile di Allende e Pinochet e poi si ripete ancora e ancora, instancabilmente, ma con personaggi diversi. Il finale, invece, spesso non obbedisce a schemi e progetti umani e, talvolta, giunge inaspettata, magari a causa dell’ironia della natura. Essa ci mette il suo carico e, in barba a tutti i tentativi di addomesticamento, si rivela efferata e incontrollata, alimentando sin dall’episodio del 1755 a Lisbona vacue dispute filosofiche, mentre l’uomo, impotente e sempre curioso, assiste davanti al maxischermo alla catastrofe che divora anche se stesso. Clicca qui per acquistare il libro.
ML (23/03/2025) per Agorasofia
Maria Cristina Strocchi, Mariangela Guerra, Maria Lovito, Se lo conosci lo eviti. Manuale pratico di sopravvivenza: come evitare di rimanere intrappolati in legami violenti o letali, Controcorrente, Napoli 2022

Il testo di Strocchi-Guerra-Lovito invita a riflettere su quel confine molto sottile tra la violenza fisica, che è palese, documentabile e lascia traccia sui corpi, per cui è facilmente denunciabile, punibile e, quindi, condannabile, e la violenza psicologica, verbale, purtroppo non evidente. Spesso quest’ultimo tipo di violenza impalpabile si perde nei meandri delle testimonianze opposte e contraddittorie, di parole dette perché inveterate in una cultura radicata nel tempo che fu. Si tratta di parole che si perdono nel vento, ma che fanno tanto male all’anima e generano ferite insanabili nelle relazioni umane, tra cui anche quelle che si presumono fondate sull’amore. È impressionante constatare con le autrici del libro in questione quante distorsioni culturali ed emotive possano inficiare la felicità di coppia. È assurdo venire a sapere, anche attraverso le narrazioni cliniche che corredano il volume, quanto siano determinanti l’ipoteca culturale e il retaggio familiare che permettono a determinate persone di ricadere negli stessi errori. Ciò che sorprende di questo lavoro, inoltre, è l’equidistanza tipica di professionisti ed esperti seri, ciò che manca in questi tempi pandemici e belligeranti che, invece, spingono a schierarsi pro o contro. Nelle storie d’amore tossico, come anche nelle guerre, ci sono, indubbiamente, vittime e carnefici, almeno in relazione agli effetti che tocca poi constatare, tuttavia: «L’intento del clinico non è quello di demonizzare il dominatore né di beatificare la vittima. Entrambi sono frutto di una dimensione relazionale che va indagata partendo dalla loro infanzia. Nessuno è mai completamente vittima e nessuno è totalmente carnefice». Clicca qui per acquistare il libro.
ML (19/04/2022) per Agorasofia
